Identità, community e consumo: l’effetto della cultura pop sulle nostre scelte

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Ogni giorno siamo circondati dalla pop culture, quella meravigliosa invenzione dei media dove moda, cinema, arte e musica non sono più solo espressioni culturali, ma sofisticati strumenti di business.

Basta scorrere i social e ogni settimana c’è in voga una nuova serie tv, un meme che tutti replicano, un trend di TikTok particolarmente divertente, la canzone del momento che si sente in tutte le radio. Potremmo considerarle delle mode passeggere, ma in realtà scatenano conversazioni, riflessioni, spunti, e si sedimentano nell’esperienza quotidiana delle persone.

Non sempre ce ne rendiamo conto, ma queste piccole “impronte culturali” influenzano ciò che indossiamo, ciò che ascoltiamo e persino ciò che compriamo. Non si tratta di subire passivamente i prodotti culturali, ma di come questi elementi diventano strumenti per definire chi siamo o chi vogliamo mostrare di essere. I nostri riferimenti culturali ci descrivono e ci influenzano nel quotidiano.

Barbiecore: quando il rosa diventa un manifesto culturale

Tutti noi ricordiamo l’uscita di Barbie il film al cinema nel 2023, giusto? Il fenomeno del Barbiecore non è stato solo una moda: ha trasformato il rosa shocking in un vero e proprio linguaggio estetico. Dai vestiti agli accessori, dall’arredamento ai social, questa tendenza ha preso spunto dalla celebre bambola della Mattel, interpretata nel film dalla celebre Margot Robbie, ribadendo la sua estetica giocosa, esagerata e immediatamente riconoscibile.

Il fenomeno che è scaturito dal film di Barbie ha generato altri prodotti satelliti, permettendo alle persone di esprimere identità, ironia e appartenenza a una “tribù digitale”. Influencer, brand e piattaforme come TikTok hanno reso il fenomeno virale, trasformando ogni outfit o post in un piccolo manifesto di stile e empowerment estetico.

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Il trend del Barbiecore sui vip

Come le tendenze, i meme e la nostalgia guidano le nostre scelte

Più in generale, tendenze come il Barbiecore ci ricordano quanto la cultura pop influenzi il modo in cui scegliamo di esprimerci e di raccontarci agli altri. Colori, outfit, meme o icone di riferimento diventano strumenti con cui costruire una parte della nostra identità, spesso senza che ce ne accorgiamo. Questi elementi non definiscono solo il nostro stile, ma entrano in dialogo con gusti, ricordi e abitudini quotidiane, creando un terreno comune tra ciò che indossiamo, ciò che ascoltiamo e ciò che guardiamo.

La nostra identità si costruisce anche con piccole “citazioni” pop: la playlist anni ‘90  che in realtà ci seppellisce di nostalgia, la battuta estratta da una sitcom americana che usiamo come risposta in una conversazione sperando che l’altro la colga. Le nostre scelte sono il prodotto di un patchwork culturale che va da Friends a Sanremo, dagli spot Coca-Cola anni ‘80 alle maratone Netflix. Il tutto in modo inconscio e irrazionale. Perché il marketing è anche e soprattutto questo.

Fry di Futurama che rappresenta perfettamente l'idea dell'acquisto impulsivo

I consumi? Quanto siamo davvero liberi?

Se credi davvero che comprare l’ultimo smartphone sia stata una scelta logica e necessaria, mi spiace dirtelo: Apple ha semplicemente saputo mettere mano alla tua psiche e guidarla verso l’acquisto. Spesso, il nostro “io consumatore” è sovraccarico di dati e influenze che vanno ben oltre la funzione dell’oggetto. Ogni cultura ha i suoi codici e valori: il black friday americano, la fissa per lo stile hygge scandinavo, il minimalismo dei giapponesi. Capire questi codici è essenziale per chi vende, ma anche per chi compra e pensa di farlo in libertà!

L’identità liquida di Bauman e la bolla digitale

Costruiamo la nostra identità tra una citazione di Harry Potter e un ramen su Instagram.

Nelle società liquide, secondo Bauman, nulla è stabile o duraturo: relazioni, lavori, valori e persino le identità personali sono soggetti a mutamento costante. Per questo motivo, l’identità non è più qualcosa di fisso o definito una volta per tutte (come accadeva nelle società “solide” del passato), ma diventa fluida, adattabile e spesso contraddittoria.

Oggi il bisogno di sentirsi parte di qualcosa passa dalle passioni pop, dai meme condivisi, dall’affiliazione alle community digitali. Viviamo immersi in bolle sociali e digitali che ci rassicurano e ci confermano, dove seguiamo chi la pensa come noi e costruiamo un senso di appartenenza su gusti, opinioni e simboli condivisi. In queste micro-comunità, l’identità si moltiplica: siamo versioni diverse di noi stessi a seconda della piattaforma, del gruppo o del trend del momento.
Ma più ci muoviamo dentro queste bolle, più rischiamo di confondere il riconoscimento con l’autenticità, adattando continuamente ciò che mostriamo per rimanere “coerenti” con l’ambiente che ci circonda. Il risultato è un’identità che non si radica, ma scivola: liquida, come la società che la genera.

Le aziende sanno più di te chi sei e cosa vuoi

Da McDonald’s che si “localizza” per farti sentire a casa ovunque tu sia, alla palette colori delle promozioni che cambia a seconda della cultura del mercato di riferimento, il marketing gioca su questi cultural cues in modo scientifico. Ogni elemento, dal testimonial scelto, allo slogan, fino al giorno in cui lanciare un’offerta è studiato per risvegliare il tuo senso di appartenenza e accendere i tuoi desideri. 

Jannik Sinner è il testimonial di Lavazza

Le passioni che diventano “tribù digitali”

Orde di Potterhead, fan di Taylor Swift, squadre di foodie sui social: le passioni si trasformano in vere tribù digitali grazie alla convergenza tra cultura pop, social e branding. Appartenere a queste tribù non significa solo dichiarare cosa ti piace, ma anche mostrare chi pensi di essere.  

In un mondo dove i riferimenti culturali si intrecciano con i nostri gusti, le nostre abitudini e perfino le nostre aspirazioni, diventa sempre più difficile distinguere ciò che scegliamo da ciò che ci viene suggerito. Eppure, è proprio qui che nasce la consapevolezza: riconoscere l’influenza della cultura pop e dei codici sociali non significa rifiutarli, ma imparare a leggerli. Perché comprendere come e perché qualcosa ci attrae è il primo passo per tornare a scegliere davvero e non solo a rispondere agli stimoli del mercato.

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