I dati non bastano a convincere
Quando si parla di marketing B2B, la prima cosa che viene in mente è: “Scelte razionali, basate sui dati, guidate dalla logica”.
Peccato che il cervello non funzioni proprio così. Nemmeno quello del direttore acquisti di una grande banca o dell’ufficio acquisti di un’ente pubblico.
Secondo Harvard Business Reviews, How Customers Think, il 95% delle decisioni d’acquisto è guidato da meccanismi inconsci ed emozionali, anche nel B2B. E indovina un po’? Il cervello si fa influenzare dal modo in cui comunichi: dalla forma di un preventivo alla struttura visiva di una presentazione PowerPoint.
I 3 cervelli in sala riunioni: rettiliano, limbico e neocorteccia
Secondo la teoria dei tre cervelli” di MacLean, le persone – e quindi anche le aziende – decidono usando tre livelli cognitivi:
Cervello rettiliano: è il più antico, il più istintivo. Si attiva davanti a segnali di pericolo, urgenza o vantaggio immediato. In un contesto B2B si traduce in domande come: “Quanto costa?”, “È rischioso?”, “Quanto tempo mi fa perdere?”. È lui che decide se aprire la tua mail o cancellarla in 0,2 secondi.
Cervello limbico: regola le emozioni, le relazioni, la memoria affettiva. È il motivo per cui ricordiamo una presentazione fatta con passione e dimentichiamo un report perfetto ma freddo. Qui si costruisce la fiducia, che nel B2B vale quanto (e spesso più di) un KPI.
Neocorteccia: è il cervello “razionale”, quello che ama dati, logiche, confronti, ROI. È il più stimato nei board aziendali ma è anche il più lento a decidere, perché analizza tutto. Parlargli è necessario, ma non basta.
Il problema? Nelle comunicazioni B2B parliamo quasi solo alla neocorteccia: schede tecniche, grafici, acronimi, bullet point. Tutto corretto, ma sterile se non attiviamo anche gli altri due livelli.
Il risultato è una comunicazione razionale che non muove l’azione, non crea connessione, non resta impressa. E in un contesto dove ogni azienda riceve decine di offerte al giorno, non lasciare traccia è come non esistere.
Ti consigliamo di leggere anche il nostro approfondimento sul neuromarketing applicato al packaging!
Le 4 leve del neuromarketing applicato al B2B
1. Semplifica il complesso (senza banalizzare)
Il cervello elabora le informazioni secondo pattern visivi ricorrenti. I più comuni? Quello a Z (lettura occidentale) e a F (secondo Jakob Nielsen, esperto di usabilità). Presentazioni, email, landing page: meno rumore cognitivo, più efficacia.
2. Sfrutta i bias cognitivi
Secondo Daniel Kahneman (Premio Nobel per l’economia), i bias sono scorciatoie mentali che influenzano ogni decisione, anche quelle aziendali.
Ecco alcuni da sfruttare nel B2B:
Ancoraggio: mostra prima l’offerta più costosa
Autorità: inserisci loghi di clienti e partnership riconosciute
Riprova sociale: testimonianze e casi studio
Default bias: presenta una “scelta consigliata”
3. Attiva le emozioni con elementi visivi
Il cervello processa le immagini 60.000 volte più velocemente delle parole. Inoltre, i contenuti visivi attivano l’amigdala, responsabile dell’elaborazione emozionale.
Nel B2B, l’uso di fotografie reali, infografiche e micro-animazioni può fare la differenza tra una proposta dimenticata e una accettata.
4. Racconta una storia (anche se vendi software gestionale)
Le neuroscienze hanno dimostrato che le storie attivano simultaneamente più aree del cervello, facilitando comprensione, empatia e memorizzazione.
Nel B2B, questo significa costruire case study narrativi, pitch strutturati come storytelling, e presentazioni “guidate” anziché descrittive.
Anche le aziende decidono con l’inconscio
Se pensi che i buyer siano impermeabili all’influenza visiva ed emozionale prova a cambiare font nella tua prossima offerta. O a riprogettare una brochure secondo principi cognitivi.